
Everyday Lusaka Gallery: la Politica e la Poetica del Quotidiano
L’Arte del quotidiano tra Memoria, Spazio e Resistenza
All'interno dell’edificio E.W. Tarry, poco distante da Cairo Road nel Central Business District di Lusaka, sorge la sede attuale della Everyday Lusaka Gallery, con le sue colonne, ora dipinte di giallo. Fondata dalla curatrice e archivista indo-zambiana Sana Ginwalla, la galleria è diventata uno dei diversi spazi artistici fiorenti che stanno ridefinendo il modo in cui la capitale zambiana si vede – e viene vista dagli altri. Mentre la scena artistica contemporanea zambiana continua a trasformarsi ed evolversi – segnata da un crescente numero di spazi indipendenti, iniziative curatoriali e pratiche interdisciplinari – Everyday Lusaka contribuisce con una prospettiva sensibile alle trame della vita quotidiana. La galleria si concentra sulla profondità delle cose, attirando l’attenzione critica su ciò che spesso viene trascurato, ma che è decisamente formativo nel modo in cui viviamo e ci relazioniamo. Questa capacità di porre al centro i momenti trascurati e la bellezza quotidiana attraverso le arti visive e la pratica curatoriale è parte integrante dell’approccio della fondatrice e curatrice principale della galleria. Per Ginwalla, la cultura visiva è un archivio vivente – un modo per porre domande piuttosto che dare delle risposte. La sua pratica curatoriale è modellata da una profonda sensibilità verso il significato dell’appartenenza, del ricordare e dell’immaginare.
Everyday Lusaka non è nata come galleria, ma come un archivio fotografico in evoluzione che catturava le trame della città, le sue insegne, infrastrutture e momenti fugaci della vita quotidiana. Al centro vi era il desiderio di dare rilievo a immagini – e, per estensione, a storie – spesso svalutate nella storia contemporanea della Zambia. Ciò che è iniziato come una pratica personale e osservativa è presto diventato un progetto collettivo, invitando altri a guardare la città con uno sguardo altrettanto attento. Nel documentare l’ordinario, la comunità di Everyday Lusaka ha orientato la cittadinanza verso nuove percezioni dei immagini quotidiane condivise: un muro consumato da decenni di vernice, un cartello scritto a mano attaccato a un palo di legno, la geometria di uno skyline quasi brutalista. Questo linguaggio visivo distintivo ha posto le basi per ciò che sarebbe diventata la Everyday Lusaka Gallery. Il passaggio da progetto digitale a spazio fisico non è stato semplicemente un cambiamento di luogo, ma di esperienza – tattile, dialogica e viva. La galleria ha aperto come un luogo in cui queste osservazioni quotidiane potessero essere raccolte, espanse e condivise in nuove forme. Riflette la convinzione che il visivo non riguardi solo l’estetica, ma anche il modo in cui ricordiamo, ci relazioniamo e diamo senso ai luoghi.
Scegliendo di situarsi nel Central Business District di Lusaka – piuttosto che nei quartieri più abbienti o spesso inaccessibili dove si trovano molti altri spazi d’arte della città – Everyday Lusaka sfida la politica spaziale dell’allestimento espositivo. La sua presenza su Cairo Road dissolve molte delle barriere formali e informali che tengono le persone lontane dall’arte, posizionando la galleria all’interno del ritmo quotidiano della città anziché al di fuori di esso. In questo modo, richiama l’eredità della Mpapa Gallery (1978–2002) – il primo spazio d’arte indipendente dello Zambia – anch’essa situata nel CBD e simile per sensibilità alle sfumature del quotidiano. A conferma di questo impegno spaziale, Ginwalla scrive:
“Nel decidere di aprire la nostra galleria in uno spazio apparentemente scomodo o non ideale, Everyday Lusaka contesta l’idea di dove l’arte debba convenzionalmente essere incontrata in città. Ogni giorno, l’energia, i suoni e le persone di Lusaka e delle sue strade penetrano nello spazio della galleria. Questo è un luogo in cui ogni tipo di persona, passeggiando per le strade, cercando o vendendo qualcosa, può imbattersi nell’arte. In fondo, se l’arte è un linguaggio universale, non dovrebbe essere accessibile a tutti?”

La galleria offre uno spazio per la sperimentazione e l’impegno critico – attenta alle realtà stratificate della città e delle persone che la attraversano. Queste sfumature vengono approfondite nel suo catalogo espositivo e di programmazione, che amplia le indagini curatoriali della galleria, spesso collocando il contesto locale all’interno di questioni continentali e globali più ampie su movimento, memoria e appartenenza. Una di queste esplorazioni prende forma in Ulendo: Searching for Belonging, una mostra personale dell’artista visivo Daudi Yves. Qui riflessioni personali e collettive si intrecciano intorno alla vita a Lusaka – e in Zambia più in generale – dal punto di vista delle comunità sfollate con la forza. Come scrive Amouraé Bhola-Chin nel catalogo della mostra:
“Emergendo in un’epoca segnata da conflitti, genocidi e diffuso sconvolgimento sociale, il debutto personale di Daudi M. Yves richiama la nostra attenzione sulle comunità sfollate con la forza in Zambia. Con radici in Congo, Daudi M. Yves rende omaggio al suo percorso e a quello dei suoi cari, che li ha portati a trovare rifugio in Zambia.”
Nell’opera Long Live, Yves utilizza olio e carbone su tessuto giallo girasole per rappresentare l’immagine di Patrice Lumumba, primo Primo Ministro della Repubblica Democratica del Congo, ancorato a un cartello stradale di Lusaka che porta il suo nome. Conosciuto per la sua posizione anti-imperialista intransigente e la sua politica panafricanista, Lumumba – come molti combattenti per la libertà radicali del continente – fu assassinato nel 1961. La sua morte segnò una svolta nell’instabilità politica e umanitaria della RDC, una crisi ancora in corso. Oggi, lo Zambia ospita oltre 102.000 persone sfollate con la forza, la maggior parte provenienti dalla RDC – rendendo le riflessioni di Yves sia profondamente personali sia urgentemente attuali. L’artista osserva:
“Le guerre e i conflitti sono costanti… [Ma] archiviare il tempo, ed esistervi dentro, dà voce a quelli come me. L’arte, in sé, è un servizio.”
Le parole di Yves offrono una chiave di lettura fondamentale per comprendere come il suo lavoro si muova tra testimonianza personale e memoria storica. Long Live non è soltanto un tributo all’eredità di Lumumba, ma un atto stratificato di commemorazione che intreccia passato e presente, iconografia pubblica e perdita privata. La scelta del medium – tessuto segnato da olio e carbone – evoca sia la fragilità sia la resilienza della memoria. Il panno giallo girasole diventa un registro tattile di calore, nostalgia e resistenza. Custodisce l’immagine di un leader che ha incarnato unità e liberazione, ora ricollocato in una città che offre rifugio a coloro che fuggono proprio dalle conseguenze del rifiuto di tali ideali.

Nel portare Lumumba nel paesaggio urbano di Lusaka, Yves fa collassare le concezioni coloniali di confine geografico e temporale, invitando gli spettatori a riflettere su come il colonialismo plasmi le esperienze contemporanee di esilio, identità e casa. Il cartello con il nome di Lumumba non è casuale – è un segno di come la città porti le tracce di altre lotte, altri sogni. Essendo stato uno dei membri chiave della coalizione anti-coloniale dei Front Line States, che includeva Angola, Botswana, Lesotho, Mozambico, Tanzania e Zimbabwe, lo Zambia si è impegnato a ospitare e sostenere i movimenti di liberazione della regione. Lusaka è diventata casa per diversi movimenti di liberazione in esilio, assumendo un ruolo attivo nella solidarietà transfrontaliera. Sulla base della sua storia come catalizzatore e sostenitore di molti movimenti di liberazione africani, l’infrastruttura della città riflette la sua posizione di stato mediatore. Diverse strade portano i nomi di combattenti per la libertà radicali, oltre a Lumumba, come Dedan Kimathi, pensatore politico keniota e leader del Kenya Land and Freedom Army durante la rivolta dei Mau Mau (1952–1960), e Thabo Mbeki, politico che fu presidente dell’African National Congress (1997–2007) e presidente del Sudafrica (1999–2008).
È su queste superfici stratificate, in queste piccole ma potenti presenze visive, che Yves costruisce un linguaggio visivo della sopravvivenza – uno che resiste all’oblio e richiede riconoscimento. Long Live è una delle molte opere di Ulendo che mettono in primo piano gli intrecci tra storie personali e politica continentale. In questo senso, la pratica di Yves riflette l’etica più ampia della galleria: attenta al quotidiano, vigile alle forze che lo strutturano e impegnata a custodire storie che altrimenti potrebbero essere dimenticate. Nel tracciare queste storie – di movimento, memoria, rifiuto e trasformazione – la mostra afferma il ruolo dell’arte contemporanea come veicolo per reimmaginare realtà condivise. Attraverso opere al contempo intime e ampie, Daudi Yves evidenzia l’impegno della galleria a fare spazio alla complessità: di sradicamento e radicamento, perdita e resilienza, osservazione silenziosa e urgenza politica. Così facendo, la mostra – e la galleria che la ospita – rende visibili le infrastrutture più silenziose della cura, della resistenza e dell’immaginazione che popolano per le strade di Lusaka e non solo.
Questo impegno per far emergere narrazioni stratificate plasma anche l’approccio curatoriale della galleria oltre i confini fisici di Lusaka. All’inizio di quest’anno, Everyday Lusaka ha presentato Long Live di Yves all’India Art Fair del febbraio 2025, come parte della mostra The Colour Beyond the Colour Line, ospitata dalla Strangers House Gallery di Mumbai. Co-curata da Ginwalla, George Varley, Shamooda Amrelia e Prabhakar Kamble, la progettazione ha ampliato le idee nate a Ulendo, Searching for Belonging, estendendole in un dialogo transcontinentale su sradicamento, identità e memoria postcoloniale. I contributi – che spaziavano dal tessile all’installazione – erano radicati in pratiche multidisciplinari che cercavano di esprimere, nelle parole dei curatori, “un nuovo impulso radicale attraverso materia, politica ed estetica.”
Nel portare avanti la sua pratica curatoriale oltre Lusaka, la galleria riafferma l’urgenza di visioni parallele del futuro – e di modi alternativi di essere – che si incontrano e si intrecciano. Attraverso spazi collaborativi e pratiche espositive critiche a livello globale, Everyday Lusaka si unisce a un movimento crescente che vede nell’arte contemporanea un sito vitale per immaginare e costruire mondi più giusti, ampi e interconnessi. Qui l’archivio non è statico; respira, interroga e si muove con chi lo crea e lo abita. Aprendo spazi per ripensare come il futuro possa essere sentito, immaginato e costruito – con cura e collettivamente. In questo modo, Everyday Lusaka sfida le gerarchie dominanti del sapere e del potere – non ponendosi in opposizione, ma scavando silenziosamente percorsi alternativi per vedere, ricordare e costruire. Colloca l’arte non solo come rappresentazione, ma come partecipazione attiva nella formazione di come le storie vengono custodite e di come i futuri possono essere immaginati.
Immagine di copertina: Daudi Yves Gallery shoot
Banji Chona (nata nel 1997 a Lusaka, Zambia) è un'artista, ricercatrice e curatrice.L'attuale pratica artistica di Chona si esprime attraverso un'alchimia basata sulla terra, un processo che prevede l'uso di materiali naturali come piante e suoli per creare opere che combinano la conoscenza ancestrale dei baTonga con tecniche sperimentali contemporanee. Un'altra forma di espressione della sua arte è la poesia visiva. I collage diventano strumenti per evocare le intersezioni tra le storie ancestrali, il presente e il futuro dei baTonga. Spesso, fotografie antropologiche vengono accostate a oggetti, immagini e narrazioni di carattere personale.La sua ricerca e pratica curatoriale sono orientate a portare alla luce ed esplorare temi legati all'identità, alla memoria e alla resistenza, con un approccio radicato nella narrazione e nella guarigione attraverso mezzi alternativi. Nel suo complesso, il lavoro di Chona si fonda su una metodologia da lei stessa concepita, chiamata Radical Zambezian Reimagination (Radicale Reimmaginazione Zambeziana).